ITALIANI GENEROSI? Le ultime ricerche dicono di no

Sono state pubblcate ultimamente due interessanti ricerche sugli italiani e la “generosità”. Ed entrambe non sembrano confermare il luogo comune degli italiani “buoni e solidali”. Sul sito di Repubblica viene infatti analizzata la ricerca svolta dalla Fondazione Roma Terzo Settore che scatta una fotografia non proprio rosea del volontariato italiano: pochi under 30, pochi uomini, più donne, scarsa capacità di comunicare e coinvolgere ed eccessiva dipendenza dal settore pubblico, ecco l’articolo completo  http://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2011/01/19/news/l_identikit_del_volontario-11394167/ e qui la ricerca per esteso in pdf http://www.fondazioneroma-terzosettore.it/documenti/REPORTSULVOLONTARIATO2008.pdf, un centinaio di pagine davvero interessanti.

Nello stesso articolo viene citata la ricerca della Gallup, importante
società internazionale di ricerche di mercato, che sono andato a leggere e scaricare qui http://www.gallup.com/poll/145589/Civic-Engagement-Highest-Developed-Countries.aspx#1.

La ricerca ha voluto analizzare il “civic engagement around the world”, comparando l’impegno sociale e volontario dei cittadini  in tutte le nazioni del mondo, sviluppate e in via di sviluppo. Non mancano le sorprese… L’Italia si piazza nelle ultime posizioni dopo Sri Lanka, Nicaragua, Moldova, ma prima di Giappone  e Portogallo. Aldilà delle considerazioni sull’attendibilità della ricerca (che ha analizzato un campione di circa mille persone per ogni Paese), il dato interessante è che gli italiani che dichiarano di aver donato soldi ammonta al 33%, il 14% dichiara di aver fatto volontariato e il 32% di aver aiutato uno sconosciuto. Contro ad esempio il 65% degli americani per le donazioni, o il 38% degli irlandesi che dicono di dedicarsi al volontariato o ancora il 69% dei neozelandesi che affermano di aver aiutato uno sconosciuto. Insomma i Paesi di cultura anglosassone sembrano avere una marcia in più…

Dopo aver letto queste ricerche, lo stesso giorno, io e il mio salumiere per puro caso cominciamo a parlare delle donazioni, della solidarietà….”Io ormai non dono più…” “Ho donato in passato ma ormai non mi fido…” “Dopo tutti questi scandali…” “Io non sono mica fesso…” E io “La donazione è una scelta, anche faticosa…” “Bisogna informarsi, scegliere bene…” e ancora “Ti ricordi perchè donavi? E cosa provavi, subito dopo?”. A quest’ultima domanda l’ho visto tentennare, forse un donatore in più l’ho recuperato… Il metodo dei “4 donatori” funziona!

Anche se sembra che il non-donare sia diventato un elemento di intelligenza per affermare che “io no mi faccio fregare, non sono mica fesso, io”. Questo meccanismo perverso, culturalmente perverso e pericoloso, va combattuto. Soprattutto dai fundraiser. Gli strumenti li abbiamo già tutti: trasparenza, efficienza, collaborazione. Ma dobbiamo usarli, sempre.

3 pensieri riguardo “ITALIANI GENEROSI? Le ultime ricerche dicono di no

  1. Caro Francesco,

    la ricerca scientifica richiede rigore e precisione. Non è possibile in alcun modo concludere sulla base della ricerca della fondazione Roma che gli italiani non sono generosi. La ricerca riguarda opinioni di volontari e dirigenti di ODV e non riguarda interviste dirette agli italiani. Tutte le altre ricerche (Eurisko, Doxa) mettono in evidenza che nonostante la crisi economica non c’è stata una drastica flessione delle donazioni individuali. In alcuni casi ci sono stati incrementi di fasce di popolazione di status medio-alto.
    Aggiungo: la ricerca pubblicata nel 2010 fa riferimento a ricerche parziali in alcune province fatte dalla vecchia FIvol che fanno riferimento a dati del 2007. Pubblicarle oggi vuol dire solo una cosa: la Fivol è morta, La fondazione Roma che ne ha preso l’eredità e per dare un segnale di esistenza in vita di questo patrimonio, ha fatto una raccolta di questi vecchi dati senza una chiave interpretativa e con ipotesi di rierca debolissime soprattutto sotto il profilo del fund raising.
    Io starei attento a semplificare le cose traendo la conclusione che gli italiani non sono un buon mercato di fund raising e di volotnariato. Come sempre i fenomeni evolvono e se i criteri di ricerca e i relativi concetti e teorie che li orientano sono vecchi non riescono a spiegarsi fenomeni nuovi. Avremmo bisogno di ben altro apparato di ricerca per capire dove va il nostro mondo del fund raising e come possiamo operare. Se ne parlerà di nuovo al festival spero.
    Per quanto riguarda Gallupp lo schema che hai visitato è poco per capire l’attendibilitò della ricerca (ma essendo Gallupp sospetto che sia attendibile) ma soprattutto il senso di tutto ciò. La domande era se si fosse fatto volotnariato, donazioni o aiuto di altre persone nell’ultimo mese. Questo ultimo mese può essere letto come comportamento generale oppure contingente al periodo in questione? E poi quale è il valore nel confronto con altri paese posto che in ognuno di questi vigono sistemi fiscali, di welfare e di altro genere molto diversi? Insomma è un Poll general generico che può far intravedere megatrend mondiali ma non può portare a conclusioni specifiche sui singoli paesi.
    Non mi sembra proprio che possiamo concludere che i paesi anglosassoni siano più socialmente engaged dei nostri. Inoltre mentre nei paesi anglosassoni le donazioni all’interno delle chiese vengono tracciate più facilmente in quanto somno legate a charities registrate, in Italia tutto questo pezzo di fund raising resta informale e opaco. Questo è stato già studiato in centinaia di ricerche trasnazionali!
    Restano i dati chiari sul fatto che metà della popolazione italiana dona in modo costante e continuo (30 %) o occasionale (20%). Dati Eurisko. Le indagini doxa (che hanno un concetto più restirtivo di donazione) segnano un incremento di donatori tra 2006 e 2010. Ad oggi sarebbero il 44% dela popolazione italiana. O gallup ci spiega questa differenza (opure Doxa o Eurisko) oppure non ci facciamo niente.
    Dico questo non per dire che l’Italia magari non abbia problemi con la sensibilità degli individui (ma su questo aspetto la ricerca Fivol Fondazione Roma non c’entra proprio nulla), ma per dire che per trarre conclusioni servono ricerche scientifiche finalizzate e specialistiche e non semplici titoli di giornali. Soprattutto come Repubblica che da tempo favorisce una interpretazione sottostimata e critica dei fenomeni non profit, oltre ad avere una visione negativa della capacità autonoma della società civile di reagire e attivarsi socialmente.
    Personalmente, a differenza del tuo salumiere, sperimento una evoluzione in senso positivo dell’attivazione sociale delle persone, incluso nel settore della donazione: Più ragionata, più consapevole, meno retorica e quindi sicuramente più diffidente verso semplici campagne pubblicitarie e più aperta ad un rapporto fiduciario diretto con chi chiede soldi.

  2. Ciao Massimo,
    grazie per il tuo intervento stimolante e di grande qualità. Concordo con te sul tema della verifica dell’attendibilità delle ricerche e sulla necessità di realizzarne una di qualità. E’ vero anche che le donazioni in chiesa non vengono tracciate, ma è altrettanto vero che la cultura del dono in Italia rispetto a quella anglosassone è molto diversa e, dal mio punto di vista, alcuni passi indietro: per maturità e consapevolezza dei donatori, per attendibilità delle organizzazioni non profit, per questioni legate alla presenza forte dello Stato e della Chiesa rispetto alla responsabilità individuale nei confronti della società, per l’utilizzo eccessivo degli sms rispetto ad altri strumenti (che sostengono i progetti è vero, ma limitano fortemente la donazione media). Insomma non sono affatto negativo sulle potenzialità di crescita delle donazioni in Italia, ma bisogna lavorare ancora molto per alimentare una sana “cultura della donazione”, non influenzata come una banderuola dai pochi scandali, superficiale nelle scelte o demandata ad altri soggetti. Sono fiducioso, lavoriamoci su.

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